Vorremo intervenire nel dibattito sulla proposta del presidente degli Stati Uniti di dotare di armi i professori delle suole. Vorremmo farlo partendo da un concetto caro alle arti marziali: il kanji 武 (BU) la radice stessa della marzialità giapponese.

Abbiamo atteso un po' prima di scrivere questo articolo, sia perché non eravamo sicuri di volerci pronunciare su questo argomento, sia perché è assai difficile condensare la nostra posizione, come maestri di arti marziali, in poche righe; speriamo, tuttavia, di esserci riusciti.

In queste ultime settimane si parla molto della proposta di armare i professori; i social network sono pieni di persone che prendono una posizione in materia, eppure tutti si concentrano sull'elemento meno importante: le armi.

Le armi sono un semplice strumento: non sono loro a portare violenza e non saranno loro ad impedirla. Come artisti marziali conosciamo il valore di un'arma, rispettiamo ciò che rappresenta ma sappiamo anche che è l'essere umano dietro a quell'arma a fare la differenza.

Mentre in italiano il termine "marziale" richiama alla mente il dio della guerra, iracondo e conquistatore, in giapponese il termine BU ha un valore completamente diverso: l'ideogramma è composto, infatti, da due radicali che rappresentano rispettivamente la lancia ed il termine "fermare"; esso può essere quindi letto sia come "fermare le armi" sia come "le armi fermano le armi".

Questa seconda interpretazione permea la via del Bushi, il guerriero giapponese, una persona che sceglie di dedicare la vita a prepararsi al conflitto, con il solo scopo di difendere i più deboli e con la segreta speranza di non dover mai utilizzare ciò che ha appreso.
Un antico proverbio dice È meglio essere un guerriero in un giardino, che un giardiniere in guerra, cioé è meglio essere pronti a dare la vita per una emergenza e non doverlo fare perché si vive in un periodo di pace, che essere costretti ad affrontare un conflitto senza esservi preparati.

Questo è il concetto di marzialità a cui ci rifacciamo, molto vicino al detto latino Si vis pace, para bellum (se vuoi la pace, preparati alla guerra).

A questo punto potreste pensare che siamo a favore delle armi nelle scuole: non è così.

Invece di parlare di armi, proviamo a parlare di persone.

Una delle cose che si imparano dopo anni di arti marziali è che l'aggressione è una forma di comunicazione: chi ci attacca sta cercando di stabilire un contatto con noi, anche se in maniera aberrante e violenta.
La domanda che ci siamo posti, pertanto, è: perché questi ragazzi hanno scelto la via dell'aggressione?
Studiando i casi precedenti di massacri scolastici negli USA emerge chiaramente che gli autori di tali atti avevano provato a comunicare il loro disagio in molti altri modi, finendo poi per optare per l'unico rimasto: la violenza.

Non sarebbe meraviglioso disporre di guerrieri speciali, altamente addestrati, in grado di individuare questi tentativi di comunicazione prima che sfocino nell'estremo atto di uccidere? Non sarebbe bello che la società investisse tempo e denaro per formare individui in grado di accorgersi del disagio di questi ragazzi, di comunicare con loro e di prevenire, non contrastare, i massacri scolastici?

Ebbene: la società dispone di queste figure, esse sono, appunto, gli educatori.
Attenzione: non stiamo parlando di quei professori che, da dietro le loro cattedre, elencano conoscenze sperando che qualche loro studente le memorizzi, per poi dar loro dei voti in base a quanto sono riusciti a ricordare, stiamo parlando di veri educatori, persone empatiche, ricche, attente alle emozioni dei loro studenti, persone in grado di diventare punti di riferimento, guidando e consigliando ma sempre nel rispetto dell'unicità di ogni individuo.

Per raggiungere il livello del bushi, per essere dei guardiani e dei difensori della società, pronti a sacrificare la vita per salvarne altre, occorrono anni e anni di pratica e di ricerca interiore: non è sufficiente mettere un'arma in mano ad una persona.

Per raggiungere il livello dell'educatore, pronto ad entrare in profonda empatia con ragazzi problematici ed affrontare piccole vittorie, grandi sconfitte e continui "riflussi", servono anni di addestramento e di ricerca interiore.

Meglio allora potenziare gli educatori già esistenti, assicurando loro di poter operare con serenità, in un ambiente che non sia sclerotizzato e strangolato da burocrazie, scadenze e programmi da mantenere, piuttosto che snaturare la loro figura dando loro un'arma da fuoco ed aspettarsi che da un momento all'altro essi si trasformino in guerrieri, dovendo magari togliere la vita a quegli stessi studenti che hanno seguito e cercato di aiutare per tanto tempo.

Se le scuole statunitensi sono davvero così pericolose (ma forse sarebbe opportuno guardare alle statistiche) riteniamo sia più saggio dotarle di una persona altamente preparata al conflitto, una sorta di ultima risorsa laddove il sistema educativo non riuscisse a risolvere le situazioni di disagio o laddove forze esterne (teroristi, genitori violenti o semplici squilibrati) mettessero in pericolo la vita degli studenti. Questa persona dovrà avere, però, un addestramento ferreo ed essere saldamente ancorata a quegli stessi principi che costituiscono il concetto giapponese di marzialità: un grande amore per la pace ed un profondo impegno per garantirla.

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