Iniziamo con questo post una serie di piccoli approfondimenti sulle parole dei maestri del passato.

Ogni mese, in corrispondenza con il programma dei dojo di Zanshin Tech, posteremo una citazione e ne discuteremo il senso profondo.

Iniziamo con una citazione proveniente da quello che forse è il testo sulle arti marziali più famoso (e più abusato) di tutti i tempi: Bingfa, ovvero "L'Arte della guerra", di un antico maestro cinese noto in occidente come Sun Tzu.

Prima di vedere assieme la frase, però, occorre chiarire un attimo quale sia il metodo corretto per approcciarsi alle parole degli antichi maestri.

L'occidente conosce le arti marziali orientali principalmente attraverso due vettori: il cinema e lo sport.
Nell'Immaginario collettivo il maestro di arti marziali orientale (cinese o giapponese) è un anziano fragile e curvo, che parla per enigmi e mezze parole, pronunciando frasi dal sapore mistico ed esoterico che però, ad un certo punto verso la fine del film, risuoneranno nella mente del protagonista fornendogli la forza per sconfiggere l'avversario.
Inutile dire che questo tipo di mentalità è frutto dell'abuso, da parte di sceneggiatori e registi, di elementi di una cultura estranea, senza che essi siano stati minimamente compresi.
Si tratta di uno stereotipo culturale, talvolta portato talmente all'estremo da divenire offensivo nei confronti di un intero popolo.

Per chi pratica sport, invece, i testi antichi spesso non hanno alcun interesse, non trattando di preparazione atletica, né, in apparenza, di meccanismi atti a migliorare le proprie prestazioni in combattimento.

Nelle scuole antiche, invece, il momento della pratica veniva percepito come secondario rispetto al momento in cui il maestro si sedeva ed impartiva lezioni sul significato profondo dell'arte marziale, della Via e della vita.
Un allievo avanzato, che avesse superato il semplice desiderio di prevalere, avrebbe dato maggior valore ad un discorso all'ombra delle foglie piuttosto che ad un combattimento sul duro parquet del dojo.

Nell'approcciarsi allo studio dei testi antichi, quindi, occorre maneggiare le parole dei maestri come se si avesse tra le mani qualcosa di incredibilmente prezioso e fragile: occorre prestare la massima attenzione affinché il senso non sfugga, inquinato e distorto a causa dei mille stereotipi da occidentali che sporcano lo specchio della nostra mente.

Puliamo quindi la nostra mente, concediamoci un minuto di serenità e di profonda serietà, dimentichiamo le nostre idee e proviamo ad affacciarci alle porte di un testo con lo stupore e la fiducia di un bambino, la cui mente è fluida e sincera e per questo è in grado di arrivare ovunque.

Bingfa ("L'arte della guerra") è un trattato cinese del IV secolo a.C., attribuito ad un maestro che l'occidente conosce come Sun Tzu.
Questo testo ancora oggi è materia di studio per militari e strateghi, a testimonianza del suo valore universale in tema di battaglie ed eserciti, ma anche di piccoli scontri o di cammino marziale personale.
Ed infatti sono proprio i valori universali il centro di questa frase.

L'arte marziale è da sempre profondamente pragmatica: chi studia la via del guerriero ha a che fare con il rischio di perdere la vita e non può permettersi assurde derive esoteriche.

Quindi, cosa intende Sun Tzu per “in cento battaglie non si correranno rischi”?
Parla forse di un potere sovrannaturale? Sta illustrando un concetto mistico?
Si tratta forse di una metafora?

Nulla di tutto ciò; questa frase è profondamente realistica: conoscendo gli altri e se stessi, non si correranno rischi. Tutto qui.

Immaginatevi al centro di una battaglia: il rumore delle spade, il sangue, le urla, il terrore che pervade il cuore dei vostri compagni, la pesantezza della vostra corazza, il sudore che sgorga da sotto l'elmo e vi bagna le ciglia, il fango che rallenta i vostri passi, il fumo che fa bruciare i vostri polmoni...

Questo è il giorno in cui perderete la vita? Sarà oggi? Cosa farete?

Colui che non conosce se stesso, che non ha reso saldo il suo cuore, che non ha messo a posto la sua esistenza in modo da non avere rimpianti, come potrà sopportare tutto questo?
Chi non ha risolto il problema della vita e della morte, arrivando a comprendere che l'una fluisce nell'altra, che una dipende dall'altra, che entrambe possono coesistere in un unico momento, come potrà evitare di gettare la sua arma, liberarsi della sua corazza e fuggire in preda al panico?

Se non conoscerete voi stessi non potrete prendere in mano la vostra vita e decidere di farne qualcosa: sarete come una foglia trasportata dai venti delle emozioni e delle paure. Per alcuni non sarete nemmeno completamente vivi.

Ma Sun Tzu dice anche “conoscere gli altri”.
Se intendesse il semplice addestramento, la strategia militare, allora la frase completa dovrebbe prevedere anche il caso in cui si conoscano bene gli altri ma non si sia lavorato su se stessi, invece questa eventualità non viene menzionata.
Perché?
Perché conoscere gli altri non significa semplicemente addestrarsi al conflitto, studiare le strategie e saper prevedere le mosse del nemico; conoscere gli altri significa comprenderli, includerli nel proprio io, sentire ciò che loro sentono, pensare i loro pensieri, giungere, dopo anni di profondo lavoro su se stessi, all'unificazione con l'altro.

Questa verità fondamentale la possiamo trovare nelle parole di moltissimi maestri: non vi è separazione tra il se e l'altro, tra aggressore e bersaglio. Il vero guerriero conosce il luogo in cui non esiste “tu” e non esiste “io”, in cui (per citare un altro grande maestro) Yin e Yang non si sono ancora manifestati.

Colui che ancora non ha raggiunto questo grado di unificazione, può vincere uno scontro grazie alla propria abilità, ma potrebbe anche perdere la vita poiché non ha saputo adattarsi al suo avversario.

Il guerriero che ha lavorato per anni sul proprio animo, forgiandolo con la pratica effettiva nel dojo ma anche meditando profondamente sui fenomeni naturali e le leggi dell'universo, è un uomo vivo, l'unico veramente vivo sul campo di battaglia.

Quest'uomo cammina nel fango, con la spada sguainata, ma senza fretta: ha risolto il paradosso della vita e della morte, il suo cuore è in pace, la sua mente è vigile, imperturbabile e capace di adattarsi ad ogni situazione.

Non si chiede se morirà oggi, non ha rimpianti, né paura; per questo motivo non corre pericolo.

Con un animo unificato e la mente priva di pensieri, egli è in grado di reagire più velocemente di chiunque altro, di percepire un aggressore, di adattarsi ad un attacco e di fermarlo immediatamente.
Conoscendo se stesso nel profondo, avendo superato le proprie paure, egli conosce anche il prossimo: ne conosce l'animo, ne conosce le ansie, coglie al volo ogni minimo segno di incertezza.

Per questo

"Conoscendo gli altri e conoscendo se stessi,
in cento battaglie non si correranno rischi;
non conoscendo gli altri, ma conoscendo se stessi,
una volta si vincerà e una volta si perderà;
non conoscendo né gli altri né se stessi,
si sarà inevitabilmente in pericolo ad ogni scontro”

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